Le single-board nate sulla scia della famiglia Raspberry-Pi sono molte e sul mercato risulta abbastanza semplice reperirle con costi che variano in base alla configurazione hardware e alla capacità di espansione, caratteristica di fondamentale importanza quando valutiamo un dispositivo di questo tipo.
Tratto distintivo di molte single-board è sicuramente l'adozione di SoC ARM, ma nessuno vieta di utilizzare piattaforme differenti basate su tecnologia Intel o AMD. Questo è ciò che ha fatto DFI con la nuova GHF51, una soluzione decisamente interessante che si basa sulla piattaforma AMD Ryzen Embedded serie R1000.
DFI GHF51 misura 84x55 millimetri - più o meno quanto il Rapberry Pi 3 Model B - e utilizza un Ryzen Embedded R1000 con TDP da 12W, un chip non solo più potente delle classiche proposte ARM, ma con caratteristiche tali da renderlo una soluzione molto versatile e appetibile non solo per gli sviluppatori ma anche per gli utenti consumer.
DFI non specifica il modello esatto del SoC, ma vista la presenza della grafica integrata Radeon Vega 3 dovremmo essere di fronte a un Ryzen R1606G o R1505G, chip dual-core con SMT (4 thread) con TDP configurabile fino a 25W che possono spingersi fino a 3,3/3,5 GHz.
Il resto delle caratteristiche non è meno interessante, partendo dal supporto DDR4 3200 (fino a 8GB), 64GB di storage eMMC, Gigabit Ethernet, USB 3.1 Gen 2 Type-C, micro HDMI 1.4 e molto altro ancora; DFI parla di supporto Windows 10 IoT Enterprise e Linux, tuttavia, vista l'architettura x86 dei Ryzen Embedded, dovrebbe essere possibile utilizzare anche Windows 10 PRO/Home.
Processore AMD Ryzen Embedded R1000
Grafica integrata AMD Radeon Vega 3 (H265, VP9)
Memoria RAM DDR4 3200MHz - 2GB/4GB/8GB - Single Channel
BIOS Insyde SPI 64Mbit (solo boot UEFI)
Espansione 1x Mini PCIe Full-size (PCIe Gen2/USB 2.0, USB 3.1 Gen2 opzionale), LAN Gigabit Intel I211AT PCIe o I210IT
Connettori I/O posteriori Ethernet, USB 3.1 Gen 2 Type C, 2x Micro HDMI
Connettori I/O interni 1 x 8-bit DIO, 1 x SMBus
Storage eMMC (16/32/64GB)
Dimensioni 84x55mm
DFI al momento non ha reso noto il prezzo del prodotto, per maggiori dettagli potete consultare il link in FONTE.
Dopo Telegram, Snapchat e Messenger, anche WhatsApp avrà i messaggi che si autodistruggono. Se ne parla da tempo, ma questa volta i tempi sembrano finalmente maturi. Ne sono certi gli esperti di WaBetaInfo, che analizzando le modifiche presenti nelle versioni beta 2.20.83 e 2.20.84 per Android (le cui date di rilascio non sono state ancora fissate) hanno scoperto l’imminente novità. Fino a qualche mese fa si pensava che l’opzione sarebbe stata riservata ai gruppi in un’ottica di «pulizia interna» dai contenuti superflui, invece verrà introdotta anche nelle chat private.
Come si attiveranno
La nuova funzionalità è ancora in fase di sviluppo, ma gli screenshot emersi parlano chiaro: accedendo alle informazioni di un contatto o di un gruppo sarà possibile selezionare una voce, «delete messages», che consentirà all’utente di «scegliere per quanto tempo i nuovi messaggi devono durare prima che vengano cancellati». Cinque le possibilità: per un’ora, per un giorno, per una settimana, per un mese o per un anno. Una volta selezionata la durata prescelta, accanto all’orario di invio dei successivi messaggi apparirà l’icona di un orologio. Spazio dunque agli ultimi aggiustamenti, poi prenderà ufficialmente il via l’iter che porterà il tool prima nella versione beta e poi su oltre due miliardi di smartphone in tutto il mondo.
Le altre novità
Quella dell’autodistruzione dei messaggi è solo l’ultima novità a coinvolgere WhatsApp, una piattaforma in continuo mutamento. Tra le ultime, l'annuncio del lancio di Payments e l’introduzione della dark mode. Ma se nel 2017 l’arrivo delle Stories era stato chiaramente ispirato (per usare un eufemismo) da Snapchat, in questo caso il «rivale» di riferimento è senza dubbio Telegram, che della segretezza e del rispetto della privacy fa da sempre i suoi punti di forza. Anche per questo già nel 2016 il team di sviluppo aveva provveduto a introdurre in app la crittografia end-to-end, una chiave privata che consente di far visualizzare i contenuti delle chat soltanto ai partecipanti alla conversazione. Ora un nuovo passo per consolidare una supremazia che appare ormai sempre più inscalfibile.
Il dado è tratto e mancano solo pochi giorni al lancio di Redmi K30 Pro. L'azienda ha confermato ufficialmente la data di presentazione ed ora è possibile dare il via alla sfilza di poster ufficiali, i quali vanno a snocciolare vari dettagli suo nuovo arrivato.
Redmi K30 Pro: Lu Weibing conferma nuovi dettagli del top di gamma
I nuovi teaser poster dedicati a Redmi K30 Pro 5G ci mostrano alcune delle feature del flagship, le quali puntano ad offrire un'esperienza di prima categoria, votata alla potenza. Il top di gamma avrà a bordo memorie RAM LPDDR5 (già confermate in precedenza) e storage UFS 3.1. A quest'ultimo si affiancherà la tecnologia Turbo per migliorare la lettura e la scrittura sequenziale fino a 750 MB/s.
In oltre, il dispositivo avrà a bordo un sistema di raffreddamento al liquido VC (ovvero con Vapor Chamber), una soluzione da 3435 mm² che consentirà allo Snapdragon 865 di lavorare a pieno regime. Per concludere – anche se essendo in copertina era leggermente impossibile non notarlo – Lu Weibing ha pubblicato un render ufficiale del K30 Pro, confermando il design della scocca. Il dispositivo assomiglia molto a quello avvistato dal vivo poche ore fa: sarà davvero lui?
E' dalla seconda metà del ventesimo secolo che si studiano le tecniche di telecomunicazione ottica che, dopo qualche decennio di evoluzione, hanno permesso di realizzare per esempio i collegamenti in fibra ottica. Perché proprio la trasmissione ottica, in luogo di quella elettrica? I vantaggi sono svariati: bassa interferenza, minor attenuazione (cioè minor necessità di amplificare il segnale) e quindi minor potenza necessaria.
Quando si pensa alle telecomunicazioni ottiche ci si immagina facilmente sistemi di comunicazione su lunghe distanze, ma più recentemente la ricerca tecnologica si sta concentrando anche sulla possibilità di riuscire a portare questo paradigma anche nelle comunicazioni intra- e inter- dispositivo. Per fare ciò serve un elevato grado di miniaturizzazione, oltre ad individuare una strada economicamente sostenibile. Gli elementi che permettono, nel concreto, di costruire soluzioni di trasferimento dati su tecnologia ottica tendono infatti ad essere economicamente impegnativi, per via del costo della sorgente luminosa, del modulatore (che serve per codificare l'informazione in pulsazioni luminose) e del mezzo di trasporto.
Ci si potrà chiedere, a questo punto, se l'impiego di una fonte OLED potrebbe risolvere le esigenze di miniaturizzazione e almeno in parte i problemi di costo della fonte luminosa. E' una buona idea, sulla carta, perché gli OLED sono piuttosto economici da produrre e possono anche essere stampati su pressoché qualsiasi superficie, anche flessibile e spianare la strada ad applicazioni svariate come ad esempio l'integrazione economica in formati lab-on-a-chip per la diagnostica point-of-care con dispositivi usa-e-getta, oppure l'impiego in forme di comunicazione sicure, anche contactless, tra dispositivi consumer e sensoristica o ancora per applicazioni di imaging.
Ci ha già pensato qualcuno, spendendosi in test e ricerche: fino ad ora però è stato possibile ottenere una velocità di comunicazione di appena 51 megabit al secondo, insufficiente per qualsiasi tipo di impiego moderno. Fino ad ora, abbiamo detto: è di recente pubblicazione, su Nature Communications, una ricerca che ha dimostrato la possibilità di realizzare un trasferimento dati ad oltre 1 gigabit al secondo anche con una fonte OLED. Si tratta di un miglioramento di 20 volte rispetto a quanto realizzato in precedenza.
Perché gli OLED sono poco adatti allo scopo della comunicazione ottica? Il problema principale è rappresentato dalla velocità di switching, cioè dalla velocità con cui un OLED può accendersi e spegnersi. Le comunicazioni sono infatti codificate in binario, e una stringa di valori 0 e 1 corrisponde ad un susseguirsi di "acceso" e "spento". La velocità con cui un OLED può modificare la sua luminosità è determinata da due elementi: una è la velocità con cui gli elettroni passano nella molecola organica che costituisce il LED, l'altra è la struttura dell'OLED che prevede una fase di carica/scarica simile a quella di un condensatore. Questi due elementi rendono l'accensione e lo spegnimento lenti per qualsiasi tipo di impiego di comunicazione.
Per poter aggirare il problema i ricercatori hanno quindi pensato di partire con la riduzione della capacità elettrica, cioè la quantità di carica elettrica che il diodo può accumulare. La strada più semplice è stata pertanto quella di ridurre l'area dell'OLED e nel corso di tre generazioni di prototipi i ricercatori hanno condotto i loro esperimenti con OLED di dimensioni via via più piccole. Tutto ciò, però, ha un rovescio della medaglia: la quantità di luce emessa dall'OLED diminuisce dal momento che vi sono meno molecole di sostanza organica stipata tra gli elettrodi. La riduzione dell'area dell'OLED ha quindi un limite che non può essere superato, altrimenti l'intensità luminosa non sarebbe sufficiente per alcunchè.
Durante le sperimentazioni i ricercatori hanno riscontrato un ulteriore limite: l'impossibilità di superare i 5V di tensione pena il danneggiamento irrimediabile dell'OLED. Non si tratta di un problema intrinseco delle molecole, è invece l'intero diodo che si surriscalda diventando inutilizzabile. Si tratta di una condizione fortemente limitante, perché la velocità di movimento degli elettroni è dipendente dalla tensione: più è alta, più rapidi possono essere i tempi di switching. A questo punto i ricercatori si sono orientati verso metodi che permettessero di riuscire a ridurre il problema del surriscaldamento. Per fare questo è stato utilizzato un substrato di silicio, al posto del vetro, per dissipare calore dal diodo così da poter aumentare la tensione senza incorrere in danneggiamenti strutturali.
Per abbassare ulteriormente i tempi di switching si è poi provveduto a ridurre la resistenza tra gli elettrodi. Gli OLED fanno uso di elettrodi trasparenti di ossido di indio-stagno, materiale che ha un'elevata resistenza. Si è optato invece per uno strato sottile d'argento e per uno strato più spesso di alluminio, sui quali sono stati incisi dei solchi per ridurre ulteriormente la resistenza. Infine è stata cambiata la composizione chimica dell'OLED usando due materiali organici che hanno permesso di ottenere una risposta più rapida. Il risultato di tutti questi piccoli miglioramenti? Una larghezza di banda nell'ordine di qualche centinaio di MHz, sufficiente per riuscire a realizzare una comunicazione (tramite tecniche di modulazione e correzione d'errori) di 1 gigabit al secondo su una distanza di due metri.
I ricercatori affermano che i risultati di questo progetto dimostrano che gli OLED potrebbero essere adatti per una vasta gamma di applicazioni potenziali dove è necessaria una rapida modulazione della luce, dalle comunicazioni sicure alla diagnostica point-of-care, all'imaging e ranging ottico. Si tratta di principi che possono dimostrare inoltre la capacità di realizzare dispositivi elettronici organici più veloci rispetto a quanto originariamente si pensasse.
Motorola One Action è un dispositivo di fascia medio bassa con una particolarità che lo distingue da tutti gli altri: una fotocamera action ed un geniale sistema di registrazione in verticale – con queste parole abbiamo concluso la nostra recensione.
Oggi un ulteriore tassello si va ad aggiungere alle caratteristiche che lo differenziano: Android 10. Sembrerebbe infatti che sia iniziato, un po’ a sorpresa, il rilascio dell’ultima versione del sistema operativo di Google anche su questo dispositivo.
Almeno questo è quello che emerge da Reddit, dove un utente ha pubblicato uno screenshot che mostra la schermata che lo avvisa della presenza di un nuovo aggiornamento (QSB30.62-17) con Android 10 e le patch di sicurezza fino al primo di dicembre.
Questo è tutto ciò che abbiamo, pertanto la notizia non può ancora essere definita ufficiale. Vi terremo aggiornati nel caso dovessimo trovare altri riscontri online.