Samsung ha annunciato due nuovi laptop: i modelli Chromebook 4 e Chromebook 4+. Entrambi prendono il posto del Samsung Chromebook 3, presentato ormai più di tre anni fa al CES 2016 di Las Vegas, e si basano su Chrome OS.
I Chromebooks stanno diventando sempre più completi, funzionali e potenti grazie al lavoro di Google. La casa di Mountain View ha migliorato molto il proprio sistema operativo attraverso le ultime release.
Negli ultimi mesi ho dedicato ampio spazio a Chrome OS qui su LFFL in quanto gli sviluppatori di Google hanno introdotto la possibilità di eseguire nel sistema operativo le Linux apps dopo aver garantito alle stesse l’accesso alle cartelle Android. Big G ha poi implementato il supporto per la segnalazione di ulteriori dati di telemetria da parte dei Chromebook oltre a nuove funzionalità che includono una migliore integrazione nativa di Google Drive, una migliore gestione della memoria, controlli multimediali nativi per il video player e supporto per l’audio focus su CrOS.
Tante esperienze d’uso (Google, Linux, Android) side by side che danno l’idea di un’unica esperienza complessivamente appagante e con tutte le funzionalità che un utente può richiedere.
Samsung: Chromebook 4 e Chromebook 4+
I due prodotti del produttore sudcoreano si differenziano per la diagonale del display integrato. Il Chromebook 4, più compatto, ha una diagonale da 11,6 pollici con risoluzione 1366×768 pixel, il secondo un pannello più ampio da 15,6 pollici in formato 1920×1080 pixel. Dal punto di vista del design, quello più grande è caratterizzato da bordi meno ingombranti ai lati dello schermo. Pesa 1,70 Kg, mentre il suo fratello minore si ferma a 1,18 Kg. Le dimensioni sono 359,7×244,9×16,5 e 287,9×202,3×16,7 mm.
Il resto delle specifiche tecniche è condiviso. Il processore è un Intel Celeron N4000, un dual-core con clock base da 1.0 GHz. Questo, grazie ad TDP di appena 6 W, dovrebbe garantire un’elevata autonomia. Quella dichiarata è pari a 12.5 ore per il 4 e 10.5 ore per il 4+. Il chip grafico è un Intel UHD Graphics 600, presenti 4 o 6 GB di RAM e memoria interna da 32 o 64 GB per lo storage. Ci sono poi connettività Gigabit Wi-Fi, porte USB 3.0 e USB-C, altoparlanti stereo da 1,5 W, microfono, webcam 720p, Bluetooth, jack audio da 3,5 mm e slot per schede microSD.
La tastiera ha pulsanti a isola. Stando a quanto si legge nel comunicato di presentazione, entrambi hanno superato otto test di livello militare per quanto riguarda la resistenza a sollecitazioni di ogni tipo: temperatura, polvere e urti. La colorazione del telaio è Platinum Titan.
I prezzi sono abbastanza competitivi: il Chromebook 4 da 11,6 pollici nella versione base costa 229,99 dollari, mentre per il Chromebook 4+ da 15,6 pollici la spesa minima è fissata in 299,99 dollari. Si attendono conferme circa il loro arrivo a livello internazionale: negli USA sono già in vendita.
Ormai è ufficiale che Google presenterà i suoi nuovi smartphone il prossimo 15 ottobre, durante un evento dedicato a New York. In questa occasione scopriremo i nuovi Pixel 4 e Pixel 4 XL (anche Pixel 5G?), anche se ormai sappiamo già praticamente tutto su di loro.
Oggi riusciamo anche a vedere tutte le colorazioni che Google ha previsto per i suoi nuovi dispositivi, le quali sono anche numerose rispetto agli standard attuali. I nuovi Pixel 4 arriveranno in ben 7 colorazioni: ‘Maybe Pink‘, ‘Sky Blue‘, ‘Slightly Green‘, ‘Really Yellow‘, ‘Clearly White‘, ‘Just Black‘, ‘Oh So Orange‘. Tra queste troviamo le classiche colorazioni nera e “panda” che abbiamo già visto per le generazioni precedenti di Pixel.
Nella galleria in basso potete avere un’anteprima delle colorazioni gialla, verde ed azzurra fornite dal sito MobileFun, specializzato nella produzione di accessori per smartphone e che starebbe già vendendo quelli per Pixel 4, e dall’invito all’evento di presentazione ufficiale.
Chiaramente non possiamo essere sicuri dell’esatta corrispondenza tra le tonalità delle colorazioni mostrate e quelle reali degli smartphone. La prossima settimana lo scopriremo ufficialmente.
Di recente è stato scoperto che Google vuole eliminare l'app di Android Auto dagli Store. Scopriamo di seguito cosa sta succedendo.
Grazie alla mole di utenti che hanno apprezzato il servizio offerto da Google, negli ultimi anni Android Auto si è fatto strada nel settore automobilistico stracciando la concorrenza di Apple con CarPlay e diventando quindi il leader indiscusso. Il sistema operativo per auto offerto dal colosso della Mountain View, infatti, offre ai propri utenti una valanga di funzionalità interessanti che permettono a questi ultimi di dimenticare completamente il telefono in tasca.
Nelle ultime settimane Android Auto ha ricevuto un nuovo aggiornamento alla versione 4.6 che ha introdotto alcune novità molto interessanti tra cui un’importante restyling grafico che ha migliorato al massimo la navigazione all’interno del menù e l’esperienza utente. Questa nuova versione, quindi, ha permesso a Google di ridurre maggiormente l’utilizzo dello Smartphone mentre si è alla guida. Nonostante ciò, però, il cellulare continua ad essere strettamente necessario per poter utilizzare alcune funzionalità legate al sistema operativo. Per questo motivo, quindi, Google ha preso in considerazione l’idea di eliminare l’app di Android Auto dallo Store. Scopriamo di seguito i dettagli.
Android Auto: addio all’app per Smartphone, ecco cosa ha in mente Google
Dal suo primo lancio nel 2015, l’obiettivo di Google è sempre stato quello di ridurre al minimo l’utilizzo dello smartphone mentre si è al volante. Chi utilizza quotidianamente Android Auto sa che questo obiettivo è stato pressoché raggiunto ma lo smartphone continua ad essere necessario in alcune circostanze. Scavando all’interno del codice sorgente dell’app, però, alcuni sviluppatori di 9to5Google hanno scoperto alcuni messaggi interessanti che sembrano avvisare l’addio imminente all’app. Ecco di seguito i messaggi:
“Android Auto è ora disponibile solo per i display delle automobili. Sul tuo smartphone prova invece la modalità di guida offerta dall’Assistente di Google” e ancora “La modalità guida di Google Assistant sostituirà Auto per i telefoni dopo %s. Provala subito.”
Entro pochi decenni l’umanità potrebbe essere sull’orlo dell’estinzione: dal cambiamento climatico a una possibile guerra nucleare, sono molti i pericoli che l’uomo avrà di fronte a sé e che dovrà evitare.
Potremmo ritrovarci in un’era post-apocalittica alla “Kenshiro”, e anche se i problemi saranno innumerevoli, ce n’è uno che secondo lo sviluppatore di software Virgil Dupras potrebbe complicarci ancora di più la vita: l’impossibilità di creare nuovi dispositivi elettronici e farli funzionare.
Per questo Dupras ha ideato “Collapse OS”, un sistema operativo open source pensato per funzionare sull’elettronica “di scarto”, quella che sopravviverà all’evento che porterà la società come la conosciamo al collasso.
Sul sito del progetto Dupras ha spiegato la sua personalissima genesi di Collapse OS. “Mi aspetto un crollo della nostra filiera produttiva globale prima del 2030. Non saremo più in grado di produrre la maggior parte della nostra elettronica perché dipende da una filiera molto complessa che non potremo rimettere in piedi per decenni (mai?)”.
“Il progresso rapido che abbiamo visto con l’avvento dell’elettronica si è verificato in condizioni molto specifiche che non ci saranno dopo il crollo, quindi non possiamo sperare di creare un’elettronica nuova in tempi così rapidi come abbiamo fatto senza un buon kit di base per aiutarci a farlo”.
Secondo Dupras chi riuscirà ad avere una qualche sorta di vantaggio tecnologico avrà un enorme potere, perciò si aprirà una nuova era di “accattonaggio” della vecchia elettronica. “I componenti non potranno essere più prodotti, ma ce ne saranno miliardi in giro per il mondo. Chi riuscirà a creare nuovi progetti sfruttando quei componenti a bassa tecnologia diventerà molto potente”.
La trama di un film insomma. “Tra quei componenti ci sono microcontrollori, che sono particolarmente potenti ma hanno bisogno di strumenti complessi (spesso computer) per programmarli. I computer, dopo un paio di decenni, si guasteranno irreparabilmente e non saremo più in grado di programmare i microcontrollori”.
Per evitare questo destino, Dupras ritiene che dovremo disporre di un sistema che può essere progettato usando elettronica di recupero e microcontrollori programmati. “Abbiamo anche bisogno di una generazione di ingegneri che ci seguano per poter creare nuovi progetti invece di ereditare un retaggio di macchine che non possono ricreare e mantenere a malapena”.
È qui che entra in gioco Collapse OS, il cui progetto è già su GitHub in cerca di persone che vogliano contribuire al suo sviluppo. “Lo sto facendo per mitigare un rischio che penso sia reale. Non è inevitabile, ma è abbastanza probabile da valere questo modesto sforzo”, ha aggiunto Dupras a Vice.
Lo sviluppatore ritiene che Collapse OS debba essere in grado di funzionare anche su un microprocessore Zilog Z80 a 8 bit (1976), perché “è stato in produzione per così tanto tempo e usato in così tante macchine, che gli “spazzini” – come li definisce lui – avranno buone possibilità di metterci le mani sopra”.
Collapse OS dovrà inoltre funzionare su sistemi minimali e improvvisati, attraverso interfacce di fortuna – tastiere, schermi e mouse -, permettere la modifica di file di testo, la compilazione di file sorgente per un’ampia gamma di MCU e CPU, leggere e scrivere su molti dispositivi di archiviazione e replicare sé stesso”.
“Inoltre, l’obiettivo di questo progetto è quello di essere il più autonomo possibile. Con una copia di questo progetto, una persona capace e creativa dovrebbe essere in grado di costruire e installare Collapse OS senza risorse esterne (ad esempio Internet) su una macchina di sua progettazione, costruita con parti di recupero a bassa tecnologia”.
Al momento Collapse OS funziona su un cosiddetto “homebrew computer” (un computer fatto in casa, amatoriale) basato su chip Z80 chiamato RC2014 e teoricamente può funzionare anche sulla console Sega Genesis.
“Penso che potrei finirlo da solo, ma ho pensato che sarebbe stato più divertente avere a che fare con un paio di altri sviluppatori”, ha scritto su Reddit lo sviluppatore. “La partecipazione richiede un insieme molto specifico di inclinazioni (credere nel crollo) e competenze (di elettronica e dello Z80). Penso che esistano pochissime persone che soddisfino tali requisiti. Ma se ci sono mi piacerebbe trovarle”.
Grazie al sito 3DPlanetnow sono emerse delle slide di una presentazione di AMD, durante la quale sono state anticipate alcune delle caratteristiche tecniche delle soluzioni AMD EPYC basate sulla futura architettura Zen 3.
Ci riferiamo quindi alle proposte della famiglia Milan, nome in codice delle CPU EPYC che debutteranno nel corso del prossimo anno. Per queste soluzioni AMD continuerà ad utilizzare lo stesso tipo di piattaforma che è in commercio attualmente, compatibile quindi con i processori EPYC di prima generazione e di seconda generazione.
Lo schema mostrato da AMD permette di identificare una peculiarità che AMD introdurrà con l'architettura Zen 3 delle CPU EPYC della famiglia Milan. Le CPU EPYC basate su architettura Zen 2, indicate con il nome di Rome, abbandoneranno il design basato su due CCX per un approccio che prevede tutti i core di un singolo die di CPU messi sullo stesso livello.
Con Zen 2 ogni die CPU integra 8 core, divisi in due CCX ciascuno con 4 core; per ogni CCX AMD integra 16 Mbytes di cache L3. Nel passaggio all'architettura Zen 3 AMD unificherà gli 8 core all'interno del die, rimuovendo la divisione in CCX: per questo motivo la cache L3 sarà condivisa tra tutti i core, con un quantitativo complessivo è che indicato in 32 o più Mbytes per ogni die.
Nelle CPU della famiglia Milan troveremo ovviamente un design a chiplets, con un massimo di 8 core CPU montati sullo stesso package unitamente al chip specifico per l'I/O. Il numero massimo di core continuerà quindi a restare quello di 64 già implementato nelle CPU EPYC Rome ora in commercio, ma AMD potrebbe optare per una nuova tecnologia di Symmetric Multithraded che porti da 2 a 4 il numero di threads gestiti da ogni core.
Al momento attuale AMD ha smentito questa ipotesi ma pare scontata una presa di posizione di questo tipo pensando al tempo che ci separa dal debutto di questi processori. Le CPU EPYC di terza generazione, basate su architettura Zen 3, dovrebbero debuttare nel corso della seconda metà del prossimo anno. A seguire avremo il lancio delle proposte basate su architettura Zen 4, meglio indicate nella famiglia EPYC con il nome di Genoa: in questo caso AMD utilizzerà un nuovo socket, presumibilmente in abbinamento a memoria DDR5.